Le metriche di attenzione: il nuovo modo di valutare la pubblicità

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Attenzione su uno smartphone

Il comportamento degli utenti è cambiato: non basta più sapere se un annuncio è stato “visto” o cliccato. Ciò che conta davvero è quanta attenzione ha generato. Le attention metrics, o metriche di attenzione, promettono di ridefinire il modo in cui editori e inserzionisti misurano il valore della pubblicità online.

Persona davanti a un pc
@pixabay

Le metriche tradizionali ci dicono se un annuncio potrebbe essere stato visto. Le metriche di attenzione ci raccontano se è stato davvero notato e ricordato.

Dalla viewability all’attenzione reale

La viewability è stata per anni la metrica di riferimento nel digital advertising. Secondo lo standard IAB, un annuncio display è considerato “viewable” se almeno il 50% dei suoi pixel è visibile per almeno un secondo (due per i video).
È una misura utile, ma insufficiente: non garantisce che l’utente abbia effettivamente guardato l’annuncio, né che ne abbia compreso il messaggio.

Le metriche di attenzione vanno oltre questo limite. Non si limitano a stabilire se l’annuncio è apparso sullo schermo, ma analizzano quanto tempo è rimasto visibile, come l’utente ha interagito con esso e quanto interesse ha mostrato.
In altre parole, non misurano la “presenza tecnica” dell’ad, ma la sua efficacia cognitiva.

Cosa misurano le metriche di attenzione

Le piattaforme che analizzano l’attenzione (come Lumen, Adelaide, Playground XYZ o DoubleVerify) combinano diversi indicatori per valutare il grado di engagement reale. Le principali metriche includono:

  • Tempo di esposizione visiva (Viewable Time): per quanti secondi l’annuncio è rimasto effettivamente sullo schermo.

  • Percentuale di visibilità: quanto dello spazio pubblicitario è stato visibile all’utente.

  • Interazioni attive: scroll, passaggi del mouse, clic o tap che dimostrano un’attenzione attiva.

  • Posizione nella pagina: annunci “above the fold” o integrati nel contenuto ottengono più attenzione.

  • Dati di contesto: tipologia di contenuto, dispositivo utilizzato, durata della sessione e momento della giornata.

L’obiettivo è costruire un indice di attenzione (Attention Score) che rifletta l’interesse reale del pubblico, integrando dimensioni quantitative e qualitative.

Perché le metriche di attenzione stanno diventando centrali

Il mercato pubblicitario sta cambiando direzione: brand e agenzie vogliono pagare non solo per impression “potenzialmente visibili”, ma per momenti di attenzione reale. Questo passaggio è guidato da tre fattori:

  1. Saturazione degli spazi pubblicitari: gli utenti sono esposti a migliaia di annunci al giorno. Solo quelli che generano attenzione si distinguono.

  2. Fine dei cookie di terze parti: senza tracciamenti precisi, le metriche basate sull’engagement diventano più affidabili delle profilazioni comportamentali.

  3. Evoluzione dei modelli di prezzo: alcuni player stanno già introducendo il Cost per Attention Second (CPA²), che misura quanto un brand paga per ogni secondo di attenzione generata.

In questo scenario, la qualità dell’impression conta più della quantità.

I vantaggi per gli editori

Per gli editori digitali, le metriche di attenzione rappresentano una grande opportunità. Possono dimostrare agli inserzionisti il valore reale dei propri spazi pubblicitari, andando oltre i numeri superficiali.

Un sito che garantisce lettori coinvolti, contenuti di qualità e layout ottimizzati può ottenere CPM più alti e posizionarsi come partner premium. Inoltre, misurare l’attenzione aiuta a capire quali aree del sito funzionano meglio e quali formati mantengono l’utente attivo, fornendo insight utili anche per la produzione editoriale.

Come migliorare le metriche di attenzione

Per aumentare l’attenzione generata dagli annunci, gli editori possono adottare alcune strategie concrete:

  • Ridurre il clutter pubblicitario: troppi annunci in una pagina disperdono l’attenzione e abbassano le performance complessive.

  • Scegliere formati adatti al contesto: native e video in-feed tendono a generare più attenzione rispetto ai banner standard.

  • Ottimizzare il posizionamento: spazi above the fold o integrati nel flusso dei contenuti catturano più tempo visivo.

  • Curare la velocità di caricamento: una pagina lenta interrompe la concentrazione e riduce la visibilità effettiva.

  • Favorire l’esperienza utente: meno interruzioni, più valore editoriale, maggiore predisposizione all’ascolto.

In sostanza, l’attenzione nasce da contenuti di qualità e pubblicità coerente.

Dati, tecnologia e creatività: il triangolo dell’efficacia

Le metriche di attenzione non sostituiscono la creatività, ma la completano. La tecnologia consente di misurare con precisione quanto un annuncio è stato notato; la creatività resta ciò che accende quella attenzione. L’unione di dati, tecnologia e storytelling permette di creare campagne più efficaci e di offrire ai brand un valore misurabile e sostenibile.

Per gli editori, questo significa ripensare la monetizzazione in modo strategico: non vendere più spazi, ma momenti di attenzione qualificata.

Il futuro: l’economia dell’attenzione

Siamo entrati in quella che molti definiscono “attention economy”. In un mondo saturo di contenuti, l’attenzione diventa la risorsa più scarsa e preziosa. Chi saprà catturarla e mantenerla, vincerà.

Le metriche di attenzione sono quindi molto più che un aggiornamento tecnico: rappresentano una nuova mentalità.
Un cambio di prospettiva che sposta il focus dalla quantità di impression alla qualità della connessione tra utente e messaggio.

Conclusione

Le metriche di attenzione stanno riscrivendo le regole della pubblicità digitale.
Non si tratta più di misurare quante persone potrebbero aver visto un annuncio, ma di capire quanto lo hanno davvero notato e perché. Per editori e inserzionisti, questo significa abbracciare un modello più umano, basato sul valore dell’esperienza e sull’interesse autentico.

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